La crosa del diavolo, storia di briganti e contrabbandieri

brigantiCome i marinai e le prostitute, il contrabbandiere faceva parte della “compagnia di attori” fissa dell’angiporto. Chi non voleva pagare le tasse per il passaggio delle merci, le rubava o aveva fra le mani affari “scottanti” diventava o si affidava ai contrabbandieri.

Erano personaggi loschi che si potrebbero accostare ai banditi e ai briganti che allora infestavano altre zone d’Italia ma se questi ultimi depredavano pastori e contadini, il contrabbandiere depredava i proprietari delle merci che arrivavano nello scalo e aveva nelle sue prerogative la conoscenza delle strade e dei percorsi per poter accedere alla grande pianura per rivendere con grande guadagno per il committente e per sé la refurtiva.

A molti di loro, poi, faceva comodo installarsi sulle montagne e aspettare l’arrivo dei “colleghi” per depredarli a loro volta. Queste bande assumevano forme stanziali e diventavano spine nel fianco per la sicurezza di tutti coloro che percorrevano quelle strade o abitavano nei piccoli paesi sparsi per l’appennino. Il più importante brigante che infestò le alture genovesi fu un tipo con un soprannome per nulla rassicurante “U diaou” (il diavolo”) e “diaoui” divennero tutti i complici della banda. Al secolo era noto come Giuseppe Musso e dalla fine del ‘700 le sue “gesta” insanguinarono la Valbisagno nella zona di Molassana. Nel 1800, nel corso del drammatico assedio di Genova, baluardo della resistenza napoleonica, con i suoi uomini diede man forte agli austriaci che avevano bloccato ogni accesso alla città dai monti. Viene da sé che le merci sequestrate da Musso e da suo fratello Niccolò (“u diaou piccin”) diventavano automaticamente bottino. Sulla sua figura negli anni successivi circolarono vere e proprie leggende che ne narravano l’indicibile crudeltà (sarebbe stato costume dell’uomo strappare il cuore delle sue vittime ancora vive) e cinismo (avrebbe spesso costretto i suoi prigionieri a uccidersi tra loro) ma non è escluso che queste storie fossero fatte circolare a arte per incutere il terrore sui poveri contadini della vallata. E’ appurato, invece, l’eccidio che lo vide protagonista in una osteria nella zona di Molassana. Lui e i suoi uomini rapinarono e uccisero tutte le persone che vi trovarono insieme ai gestori.

E’ vero, però, che il suo controllo della zona era capillare e che con grande abilità riusciva a sfuggire alle trappole tese dai gendarmi che partivano da Genova per catturarlo. Allora non esistevano mezzi particolari che potevano avvantaggiare le forze dell’ordine: chi aveva una maggiore conoscenza e controllo del territorio come il brigante poteva tranquillamente prevenire le mosse di chi lo inseguiva. Si racconta che era tale la sua impunità che una volta l’intera banda partecipò a una processione religiosa a Molassana e nessuno osò non solo fermarlo ma neanche denunciare il fatto. Quando poi la Polizia una volta riuscì a circondarlo intimandogli la resa, un classico violento rovescio d’acqua rese inservibili le armi degli agenti e il brigante potè fuggire.

La crosa del Diavolo

Musso si sentiva onnipotente e invincibile, stanco della vita da cane braccato e desideroso, per quanto la sua particolare inclinazione, di farsi una famiglia lo permettesse, si spostò a Genova. Qui, secondo la leggenda raccolta da Mauro Salucci, incontrò la sua anima gemella, una certa Felicita Laccio che per diventare lamante di Musso, non esitò ad avvelenare il marito e a uccidere le sue piccole figlie che gli erano dintralcio per congiungersi a Musso. Bella e violenta, si vestiva in abiti maschili e era estremamente pericoloso incrociare il suo sguardo. I due abitavano in crosa S. Giuseppe, nella zona di Portoria, che da allora prese il nomignolo di crosa del Diavolo. Oggi larea profondamente mutata dagli intensi stravolgimenti urbanistici, è quella di Largo S. Giuseppe.

Decisi a farla finita con la storia del “Diavolo” alla Questura decisero di mettere una taglia di mille lire per ogni componente della banda e addirittura quattro mila per il capo. Musso sentì puzza di bruciato e capì che era il momento di cambiare aria: con un gozzo da Boccadasse raggiunse un veliero inglese ancorato nelle vicinanze e fuggì a Gibilterra e quindi ancora a Trieste. Condannato in contumacia fu catturato nel 1804 perché riconosciuto da un marinaio genovese. Riportato a Genova, il suo arrivo fu accolto da una folla di curiosi che lo seguì, lui in catene e accompagnato dai gendarmi, sino alle prigioni del “Palazzo”. Fu fucilato, pena che spettava ai briganti, il 12 novembre del 1804.