“L’arte di bere d’estate”, tra cultura, sapori e suggestioni

cock1Di cosa parliamo quando parliamo di cocktail? La parola, ormai oggi di uso assai comune, se ci si riflette bene, mantiene in sé ancora quel vago luccichio e splendore come i bottoni d’oro dell’antica divisa militare del nonno tenuta in naftalina.

Perché la parola “cocktail” in sé è il “segno” di una vastissima rivoluzione culturale che dalla fine dell’800, partendo dagli Stati Uniti, travolse e modificò per sempre le sensibilità e i gusti di tutta la civiltà occidentale. Il “cocktail” arriva insieme all’elettricità, all’aviazione, al jazz, all’emancipazione delle donne, ai grandi transatlantici, agli impressionisti e alla scoperta degli ultimi sconosciuti lembi di terra del mondo.

Chiunque abbia avuto a che fare con questi momenti fondamentali della civiltà occidentale ha bevuto cocktail, li ha inventati e modificati, soprattutto ha contribuito all’evoluzione del gusto che nella velocizzazione complessiva di quell’epoca si adeguava alle sollecitazioni e alle accelerazioni delle scoperte scientifiche e geografiche.
Quando si parla dei cocktail detti banalmente “estivi” si entra, in realtà, nel merito di una categoria di drink messaggera di molti significati: sole, libertà, divertimento e sensualità.

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I “tiki cocktail”, definiti anche così perché molti di ispirazione caraibica, discendono da suggestioni e contaminazioni culturali che venano tutto il ‘600 e ‘700 ma esplodono tra il XIX e il XX secolo quando la velocità dei collegamenti e la loro relativa sicurezza stabilizzano le rotte commerciali innestando sui mercati occidentali nuovi prodotti. Rum, ginger beer, tequila e cachaca vengono imbarcate e occupano sempre più prepotentemente i banconi dei bar americani sulla costa orientale, mentre nel frattempo, soldati e mercanti ritornano da quelle lontane mete esotiche con nostalgie e suggestioni da consolare e consolidare.

Senza l’afflato religioso dei primi missionari, gli esploratori di quei paradisi isolati dal progresso occidentale scoprivano civiltà, uomini e donne con abitudini, culture e temperamenti agli antipodi della cultura occidentale, cristiana o illuminista che fosse, e scoprivano così come l’umanità doveva essere agli albori della sua storia sul pianeta terra. Inutile dire che si trattò di scoperte graditissime. Crescete nella cultura americana bacchettona e puritana dell’800, tra freddo, lavoro, carestie e matrimoni d’impostazione “vittoriana” e poi all’improvviso vi trovate immersi in un’isola polinesiana, dove si lavora pochissimo, si danza e si canta tutto il tempo e uomini e donne vivono una vertiginosa libertà sessuale: provate a immaginare l’effetto che fa.

Gauguin, Flaubert, Conrad, Hemingway, per citare i nomi più famosi della cultura moderna e contemporanea che restano stregati da questa magia, ma più in generale, l’influsso della cultura che arriva dai mari del sud, investe gli americani con il profumo di desideri, pulsioni e passioni sepolti nella routine massacrante delle grandi metropoli.

E chi sono i messaggeri di questa nuova cultura che si riversa copiosa nelle menti e nelle nuove mode americane dei primi del ‘900? Il cinema (“Tarzan”, “King Kong” e “Il bacio della pantera” per fare gli esempi più clamorosi),

la musica (il “Jungle style” con Cab Calloway e Duke Ellington per dirne due), la danza (Josephine Baker che balla a seno nudo e con una casco di banane come gonna, in primis) e poi ci sono loro, i cocktail. Per molti è molto semplice ricordare e riassaporare certi gusti esotici codificandoli in once. Rum scuri giamaicani mescolati alla ginger beer delle Bermuda, il raro pisco peruviano bevuto dai cercatori d’oro fa da base alla formula di un nuovo “sour”, cocco e ananas addolciscono bevande a alto contenuto alcolico. In California intraprendenti bartender ricreano atmosfere polinesiane: bonghi, statue in legno, scudi e lance, pelli di giaguaro diventano ornamenti fondamentali di questi locali.

Cocktail dai nomi esotici fanno la loro comparsa: il Mai Tai e lo Zombie diventano cocktail di grido, la Pina Colada che racconta sapori e segreti della lontana e esotica Porto Rico diventa una formula magica per evocare cieli azzurri, mare limpido e storie torride.

Pur essendo passati quasi cento anni da quella rivoluzione, quei valori culturali mantengono inalterata la loro forza evocativa anche e soprattutto grazie ai cocktail arrivati a noi tali e quali vennero creati la prima volta. Provateli e beveteli, pensateci un po’ … Vi indicano ancora oggi la strada del paradiso perduto, chissà che qualcuno non la ritrovi ancora.